'La 'zeppola'? Ci ho messo un anno, ma ci sono riuscito. Adesso non ce l’ho più. Prima dicevo 'faffo' per dire 'sasso'. E’ stato difficile, come imparare a parlare il russo. Faceva tenerezza, d’accordo. Ma era una condanna'.
Come sei riuscito a vincerla? 'Con la volontà, con l’aiuto di specialisti. Quando parlavo non si capiva niente, mi ha creato dei complessi enormi. Sapevo di andare a fare l’attore con un limite. E quel limite ero io. E adesso, invece, la metto e la tolgo quando voglio! Faffo, sasso; faffo, sasso…'.
E ride. C’è riuscito, Silvio Muccino, a vincere la battaglia con la 'zeppola'. Ed è riuscito, a ventitré anni soltanto, a fare molte altre cose. Lo abbiamo incontrato a Terni al festival 'Cinema e lavoro ', diretto da Mario Sesti.
La prossima settimana, Silvio prenderà parte alle Giornate professionali di cinema, all’Auditorium Conciliazione a Roma. Ma soprattutto, i pomeriggi lo vedono impegnato in intensissime riunioni di sceneggiatura. Sta scrivendo insieme a Carlo Verdone il film che li vedrà insieme.
Il titolo provvisorio è 'Il mio miglior nemico': la regia sarà di Verdone. E’ la storia di un ragazzo uscito da un’adolescenza difficile – Silvio Muccino – e di un imprenditore borghese, appagato, apparentemente tranquillo: Verdone. E dell’incontro che sconvolgerà la vita di entrambi. Il ragazzo si vendicherà di un torto subito dall’adulto. E proverà a distruggergli la vita. Le riprese del film inizieranno a settembre, e da Roma si sposteranno in Germania, a Berlino.
'Ci siamo incontrati sul set di 'Manuale d’amore': io ero rigido come un pezzo di legno, troppo emozionato per recitare insieme a uno che per me è un mito, come Carlo', dice Silvio Muccino.
'Piano piano, ci siamo annusati, è nata un’amicizia, e l’idea di fare una cosa insieme. Che per me è, davvero, più di un sogno'.
Silvio, il tuo percorso di avvicinamento al cinema è stato molto diverso da quello degli altri. Non hai fatto scuole, non hai studiato recitazione. Tuo fratello, Gabriele Muccino, ti ha chiesto di scrivere insieme a lui 'Come te nessuno mai'…
Quando hai capito che il cinema sarebbe stato il tuo mestiere?
'Il cinema è stato prima di tutto un modo per scoprire me stesso. Ero molto timido, avevo un sacco di problemi, e soprattutto non sapevo chi ero. Mio fratello è stato il primo a dirmi: parlami di te. Quando ho scritto quel film, che raccontava di studenti di liceo, mi sono aperto. Ho parlato di me stesso per la prima volta. E piano piano mi sono scoperto'.
E poi?
'Poi ho visto la proiezione del film. Ho visto le persone emozionarsi e mi sono detto: continuiamo a fare questa cosa meravigliosa'. Come è il tuo rapporto con Gabriele Muccino? 'E’ un fratello di quindici anni più grande, quindi in qualche modo è anche un padre. E un amico'.
Quali sono stati, sino ad oggi, i film a cui ti senti più legato, i tuoi momenti di svolta?
'I film con Gabriele mi hanno insegnato che quello che conta, per un attore, più della tecnica o dell’impostazione del diaframma, è la verità. Gabriele ti porta a vivere l’emozione della scena, e finché non sente la tua emozione non ti dice che la scena è buona. Ma i film della svolta per me sono stati 'Ricordati di me' e 'Manuale d’amore', di Giovanni Veronesi'.
Perché?
'Perché 'Ricordati di me' era il primo film in cui dovevo fare l’attore e non soltanto me stesso. Ed è un film che mi ha dato un successo che dovevo capire se meritavo oppure no. 'Che ne sarà di noi' è stato il film dell’incontro con De Laurentiis, che mi ha detto: vuoi scrivere un film? Vuoi un’occasione? Io te la do: giocatela al meglio, ragazzo. Eppure tutti mi sconsigliavano dal farlo, questo film con una 'famiglia' cinematografica diversa.
Io ce l’ho messa tutta, ho scritto il film, l’ho interpretato, sono stato sul set anche quando non toccava a me, poi in sala di montaggio, e ho persino rifatto io il trailer del film: insomma, ho vissuto un anno solo per quel film. E’ stata la mia vera prova di maturità'.
E’ andata benissimo…
'Sì: e soprattutto mi ha dato la possibilità di continuare anche con la nuova 'famiglia'. Sei un attore quasi anomalo. Si direbbe un attore timido.'Sono a disagio nello stare tra la gente. Di solito sto con un amico per volta, ho una ragazza per volta, quando ce l’ho… Ma è anche vero che quando senti un pubblico che ti applaude, capisci perché fai questo mestiere, e quanto ti può dare'.
Qual è la molla che ti spinge a fare questo mestiere?
'Potrà essere presuntuoso, ma è la voglia di lasciare un segno, seppure piccolissimo. Un attore come Alessandro Haber dice sempre ai registi: fammi rifare questa scena, che poi resta per tutta la vita! Ecco, la penso come lui. Quello che si fa resta impressionato sulla pellicola. E in qualche modo, hai l’illusione che resti per sempre. La morte mi fa paura, ho solo 23 anni ma ho paura di scomparire. Vivo ogni giorno con un senso di angoscia profondissimo. E il cinema mi fa sperare di poter rimanere, in qualche modo, anche dopo di me. Troppo marzulliano?'.
Teatro